La raccolta Inediti
– pubblicata postuma nel 1942 dopo il ritrovamento dei familiari nella casa natale del poeta di un quaderno scolastico inaspettatamente pieno di scritti – mette in luce la poliedrica poetica di Campana, tanto radicata nella tradizione letteraria quanto innovativa. A comporre istantanee ricche di suggestioni sono il rapporto viscerale con il paese d’origine Marradi, la quotidianità della vita fiorentina, l’adorata Genova, l’esperienza a Buenos Aires, e ancora i temi cari all’autore: la notte, la natura coi suoi colori, l’amore, l’arte, il viaggio, la follia. Poesie e pensieri in cui, tra versi ermetici e versi di altrettanta immediata espressività, emergono i sentimenti e le idee che ne accompagnarono la travagliata esistenza.
Dino Campana
(Marradi, 1885 – Scandicci, 1932) è noto nell’immaginario comune come poeta visionario e folle. Con i Canti orfici
– raccolta di cui venne smarrito il manoscritto originale e che l’autore fu costretto a ricostruire a memoria – si pone tra le voci più rilevanti della poesia del Novecento. I difficili rapporti con la famiglia, l’amore tormentato con la scrittrice Sibilla Aleramo e l’aggravarsi dei disturbi mentali di cui soffriva lo portarono a condurre una vita instabile, costellata di continui viaggi e fughe da un mondo che gli era ostile. Fallito il tentativo di arruolarsi in occasione dell’entrata in guerra dell’Italia, trascorse gli ultimi anni nel manicomio di Castel Pulci. Tra i suoi testi postumi da ricordare: Taccuinetto faentino
(1960) e Fascicolo marradese inedito
(1972).
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